mercoledì 31 ottobre 2012

L'UOMO VOGUE (Novembre)









Prima di lui, i vampiri erano vecchi, solitari, tormentati. Vivevano isolati in sinistri manieri, vestivano con pesanti mantelli scuri e si aggiravano avidi di sangue solo nelle ore della notte. Di giorno, per proteggersi dal contatto letale con i raggi del sole, si addormentavano nel buio di pesanti bare rinchiuse nella penombra di un sotterraneo o di una cripta. Con lui, invece, cambia tutto.Grazie al personaggio che Robert Pattinson interpreta nella saga di Twilight, il mitico Edward Cullen, i “non morti” entrano in una nuova era: quella dei post-vampiri. Che sono giovani, carini, diurni. Ed eterni. “Da quanti anni hai diciassette anni?”, si chiedono sorridendo, nel tentativo di dare una misura alla loro eternità. Perché nel mondo di Twilight la morte non è più inevitabile. Loro, infatti, non sono morti e non moriranno mai. Non sono condannati a perire.

Ma a differenza di quanto accadeva con i vecchi vampiri – quelli interpretati da Bela Lugosi e da Christopher Lee – i post-vampiri non pagano il “dono oscuro” dell’immortalità con la condanna a vivere nel buio. Al contrario, favoriti dal fatto di abitare in una cittadina dello stato di Washington in cui il cielo è sempre grigio e il sole non si vede quasi mai, si mescolano fra gli altri adolescenti, frequentano lo stesso liceo, si liquefanno e si mimetizzano nel corpo sociale. Ed è subito culto: comunità di adolescenti di tutto il mondo si raccolgono su Facebook scambiandosi messaggi adoranti su Robert Pattinson o sul suo personaggio, e non si stancano di vedere e rivedere le immagini che lo ritraggono in migliaia di video o di trailer caricati su YouTube.

Andate a controllare: in alcuni casi ci sono video che hanno superato i 18 milioni di click. Robert Pattinson è l’icona vivente di questo culto sociale: corpo-simbolo che sintetizza in sé una sorta di mutazione antropologica e di attesa epocale, fa del suo Edward una sorta di profeta o di Messia. Quasi un Mosè del post-vampirismo, dietro cui avanzano le frotte dei neo-vampiri, creati soprattutto da scrittrici donne (non solo Stephenie Meyer di Twilight, ma anche Anne Rice, Lisa Jane Smith, Charlaine Harris, e tante altre) e mediatizzati in serie televisive come True blood The vampire diaries.

Scarmigliato ma monocorde, tormentato ma non troppo, trasgressivo ma rassicurante, il vampiro di Pattinson presenta differenze vistose rispetto ai succhiatori di sangue del passato, quelli che deambulavano per città infette e appestate con la pelle pallido/spettrale e una vistosa ipertrofia dei canini. Loro mordevano ed estraevano il “sugo della vita”, lui rinuncia a mordere gli umani e sceglie di nutrirsi solo di sangue animale pur di poter stare accanto alla gente normale.Manco fosse un vampiro filantropo a vocazione sociale.

Difficile dire se Robert Pattinson – classe 1986 – assomigli o no al personaggio che ha fatto di lui l’icona della generazione Web 2.0. Certo: come Edward, anche “Rob” o “R-Patz” – così lo chiamano i fans – sembra cerebrale, spesso a disagio, ancor più spesso attraversato da slanci e aspirazioni impossibili. Più che come attore, per esempio, sembra che ambisca a essere riconosciuto come musicista: autore di parecchie canzoni per Twilight, suona il piano e la chitarra, ha fatto parte di un gruppo rock (Bad Girls) e non ha mai nascosto la sua aspirazione a diventare un produttore musicale.
Come prodotto hollywoodiano è parecchio atipico. A differenza di Kristen Stewart – la Isabella “Bella” Swan in Twilight – che è figlia di un produttore della Fox e di una sceneggiatrice, Pattinson non è stato allevato nel caravanserraglio degli studi hollywoodiani. Al contrario viene dall’Inghilterra, dove è nato e cresciuto in un quartiere middle class dei sobborghi a ovest di Londra. Figlio di un venditore di auto americane in stile vintage, studente turbolento e modello a tempo perso, a un certo punto decide – pare su consiglio del padre – di provare col teatro. Incappa in una versione di Tess dei d’Urberville e si appassiona al gioco.

Il cinema viene dopo, nel 2005, quando il regista Mike Newell lo sceglie per interpretare Cedric Diggory nel quarto capitolo della saga del maghetto intitolato Harry Potter e il calice di fuoco. Il film ha successo e il ragazzo con l’aria scontrosa viene notato da molti. I complimenti fioccano, gli incoraggiamenti pure. Così Rob decide di provarci per davvero. Come per rompere un circolo vizioso, molla tutto e vola verso l’America. Dove vivacchia per un po’, come fanno tanti, finché non arraffa all’ultimo minuto – quando anche lui ormai non ci sperava più – il ruolo di Edward in Twilight al termine di un casting che ha provinato più di 5 mila aspiranti e che lui stesso ha affrontato e superato sotto l’effetto antidepressivo di uno Xanax.

Il successo di Twilight è travolgente, ma lui sembra disdegnare. Le indiscrezioni, anzi, lo descrivono spesso come infastidito, soffocato dalle pressioni della stampa, stressato da fans, impossibilitato a uscire di casa senza essere assalito, continuamente fotografato e twittato. È il prezzo da pagare per chi si dice abbia guadagnato 32 milioni di sterline, diventando l’attore britannico più ricco dopo l’interprete di Harry Potter, Daniel Radcliffe. Qualche critico arriccia il naso davanti a un successo così rapido e impetuoso. Ma i critici, si sa, il naso spesso lo arricciano per partito preso. Soprattutto quelli – e sono tanti – che non amano le saghe romantiche e sanguinanti. Lui, “Rob”, è molto più colto di quanto non sembri. Legge Martin Amis e Maupassant. È un cinefilo raffinato, conosce in modo non superficiale il cinema francese, è capace di citare Jacques Audiard (Sulle mie labbra, Un sapore di ruggine e ossa) tra i registi con cui gli piacerebbe lavorare e dire cheil modello interpretativo a cui si ispira è Daniel Auteuil per la sua recitazione di Le deuxième souffle di Alain Corneau.

Non è un caso allora che David Cronenberg l’abbia voluto per adattare sul grande schermo il capolavoro di Don DeLillo, Cosmopolis: il regista più estremo (ma anche più cerebrale) della scena contemporanea chiama l’attore emergente più idolatrato dalle ragazzine e gli propone di interpretare un ruolo al contempo lontanissimo e vicinissimo a quello di Twilightnon più un vampiro, ma un lupo di Wall Street. Un guru dell’alta finanza. Giovanissimo e spietato. Uno che può decretare la miseria di migliaia di persone con una sola sua mossa. Rinchiuso nella sua limousine, adagiato sui sedili in pelle, preoccupato solo di trovare il suo barbiere dal quale vuol farsi dare un’aggiustatina ai capelli, attraversa Manhattan da est a ovest mentre per le strade della Grande Mela impazza la rivolta di coloro che il capitalismo globalizzato sta impoverendo a vista d’occhio. Lui, in apparenza, è del tutto indifferente: il suo broker, forse, è il vampiro che Edward non poteva essere. Non esce dalla limousine, ha orrore della folla, non si mescola con gli altri umani. Se in Twilight ha addomesticato il mito del vampiro, e l’ha in qualche modo reso compatibile con un immaginario adolescenziale normalizzato e bisognoso di credere che tutti gli amori impossibili possono ambire a un happy ending, in Cosmpolis fa invece il lavoro opposto e nega qualsiasi possibile lieto fine.

Dopo una prova così “estrema” e coraggiosa, mentre nelle sale di tutto il mondo esce l’ultimo episodio della saga di TwilightBreaking dawn – parte 2 (dove Bella diventa vampira e concepisce con Edward una bimba ibrida, immortale come i vampiri ma destinata a crescere come gli umani), “Rob” cerca di smarcarsi dal ruolo-gabbia di Edward Cullen. Così sarà T.E. Lawrence (meglio conosciuto come Lawrence d’Arabia) nel film di Werner Herzog Queen of the desert e scorrazzerà nel deserto australiano, sulla scia del mitico Mad Max anni 80, nel western avveniristico-esistenziale The rover diretto dal regista di Animal Kingdom David Michôd.

Ruoli in apparenza lontani da quello di Cullen. Ma solo in apparenza. In realtà, tutti i personaggi che sceglie hanno qualcosa in comune: sono sospesi fra la necessità di oltrepassare la soglia dell’età adulta e il desiderio di restare giovane per sempre

L'Uomo Vogue, Novembre 2012 (n. 435)

Photo by Caitlin Cronenberg
Fashion editor Rushka Bergman
Fashion Assistant Camilla Sossi, Karolyn Pho e Jonathan Pavlick
Groomer by Patricia Morales




RPLife

Nessun commento:

Posta un commento